Quando il sottosegretario Sgarbi dimentica che non è Bukowski

A volte si dimentica che chi ha ruoli chiave come amministratore pubblico non dovrebbe eccedere in certi luoghi sennò fa solo l’artista.

La prima regola di chi fa comunicazione è capire chi hai di fronte. E dove ti trovi. Può anche accadere che hai talmente una forte personalità che ti puoi permettere di dire tutto quello che caxx vuoi, però poi, se sei fuori contesto, ne paghi le conseguenze. Caso Sgarbi, ovviamente. Forse quando si parla è necessario essere anche inclini agli altri, magari evitando il turpiloquio da osteria, anche se oggi nemmeno le osterie tollerano certe volgarità, soprattutto se riguardano la vanteria delle conquiste da talamo. Tempo fa affronto un discorso con un agricoltore che avrebbe voluto riorganizzare il packaging della sua azienda, dopo avergli illustrata l’idea allarga le braccia e sbotta: “belle parole ma non ho capito un caxx”. Le chiacchiere stanno a zero: se vai in un museo e di fronte non hai il pubblico di teen-ager che ascoltano i trapper forse dovresti contenere il linguaggio. Eh, direte, quello è Sgarbi. Quindi parla e ragiona come Sgarbi, ergo cazzeggia come Sgarbi comanda. E allora non vi lamentate, perché Sgarbi come uomo, come figura di cultura e come sottosegretario sempre Sgarbi è. A vostro rischio e pericolo.

È sempre il solito tema. Se parli in pubblico in un museo si deve tenere un decoro che magari non avrai mentre sei al bar, e viceversa. E allora? Che fai? Ti spersonalizzi? O parli solo per mere questioni di opportunità/opportunismo?

Bei dilemmi. Chi sa di avere più frecce al proprio arco deve essere così sensibile e intelligente (intus e legere, cioè leggere dentro) da capire i momenti, i modi e gli interlocutori. Non è lo stesso metodo che attuano gli scrittori quando presentano un libro? Scrutano chi hanno di fronte. Lo hanno insegnato gli oratori. Dobbiamo cercare di essere inclini agli altri. Non è essere opportunisti, ma democratici verso chi magari non ha gli stessi strumenti culturali e valoriali, avvicinando il pubblico. Non solo: vanno bene anche di tanto in tanto una parolaccia, una barzelletta sconcia, un’espressione dialettale, quest’intercalare lanciato qua e là è tollerato e accorcia le distanze di comunicazione, se è continuo diventa volgare e pecoreccio. Se stai al Maxxi e presenti la nuova stagione estiva della struttura e non il libro postumo di sbronze e scopate di un redivivo Bukowsky non puoi eccedere nel linguaggio, denotando poi una assoluta assenza di galanteria. Sennò poi ne paghi inevitabilmente le conseguenze. Soprattutto perché ricopri un ruolo pubblico. Eh, però quello sempre Sgarbi è. Certo, ma proprio perché ricopri un ruolo chiave di amministratore allora dovresti tenere un comportamento più consono, sennò fai l’artista e punto.

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