Ieri, 3 agosto, si è spento per un malore nella sua abitazione lo scrittore Antonio Pennacchi, 71 anni. Lo scrittore di Latina aveva vinto col romanzo ‘Canale Mussolini’ il Premio Strega nel 2010. Originale e visionario, scavato da un profondo senso d’inquietudine, schietto, polemico e polemista per indole, lascia in eredità gli scritti dedicati alla terra che amava.
Il primo incontro con Antonio Pennacchi è stato uno scontro. E non poteva essere che tale. Seguiti da altri. Erano risse verbali, non c’era l’anagrafica per gli scontri ideologici che a suo dire avevano costellato la sua giovinezza. E i motivi erano futili o per interposta persona, quelle sciocchezze di principio che avvicinavano i contendenti e ovviamente li allontanavano. In verità, Antonio partiva sempre all’attacco, con pretesti, ed è chiaro che se non sei incline al porgere l’altra guancia reagisci con la stessa intensità di fuoco, finché capisci che è un atto funzionale solo alla polemica. Ecco, la vis polemica di Antonio seppure stucchevole spesso era godibile, tant’è che sulle pagine della rivista ‘ego’ che dirigevo aveva il suo editoriale e il suo spazio, senza censure e senza limiti. Poi, una questione tra lui e Max Vittori su un’iniziativa che abbracciava le città di fondazione (e che non mi riguardava) ci ha allontanati, perché il suo ragionamento era che chi è amico del mio nemico non può essere mio amico. Chiaro che un ricatto morale del genere (e puerilmente pretestuoso) per me era sinonimo di una frattura seria, ricomposta più o meno educatamente negli anni successivi.
Scusate, ma non sono abituato all’ipocrisia e nel ricordare qualcuno, un ‘gigante’, credo sia il caso di essere schietti oltre che con se stessi e gli altri che leggono il coccodrillo anche e soprattutto con lui. Stare qui a raccontare di Antonio che urlava le sue ragioni sarebbe ripetere quello che avete in molti visto e vissuto, al pari delle soluzioni originali che tracciava, molte a effetto, per ricavare un’amplificazione mediatica sempre cercata (e spesso meritata). Antonio sin dalle prime battute della sua carriera di scrittore ha cercato di costruire sé stesso come personaggio, questa è stata l’impressione ricavata, finché ho capito che alla fine personaggio e uomo coincidevano, anche se spesso mi restava incomprensibile la rabbia e il rancore che depositava a parole su cose e persone piuttosto che cercare una soluzione mediata e pacifica; certo, restava uomo e personaggio fuori dagli schemi, traducendo nei suoi scritti il senso d’inquietudine che lo divorava e lo stato del desiderio della fama cui anelava e che ha raggiunto.
Innamorato della sua terra e della storia della sua terra le ha reso omaggio eterno, come un aedo moderno cantandone le genti e lasciandoci un’ennesima eredità che è simbolo dell’Agro redento: i suoi figli visionari, e Antonio ovviamente lo era, hanno tracciato idee originali, tant’è che con la vittoria allo Strega di ‘Canale Mussolini’ parte delle istituzioni avevano preso spunto dal romanzo per disegnare un ipotetico futuro turistico del territorio. Ecco, lui visionario, gli altri incapaci di seguirne la linea e il senso.