Latina senza sindaco: il primo cittadino Coletta avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni, no, il centrodestra non avrebbe dovuto sfiduciarlo. A pochi sfiora il dubbio che la schizofrenia elettorale si era già manifestata mesi prima nelle urne.
A Latina la nostalgia ha vinto ancora. Il commissario straordinario evidentemente alla seconda città del Lazio mancava. Era da tempo che dalle parti di piazza del Popolo non si aggirava un emissario del ministero dell’interno. Praticamente dal 4 settembre, giorno in cui è salito di nuovo in Comune il sindaco Damiano Coletta, decaduto qualche settimana prima per una decisione giudiziaria su una serie di anomalie riguardanti il voto dell’anno precedente che aveva ricreato un ulteriore over time per le amministrative di Latina. Solo che oggi pomeriggio è andata come è logico che andasse, col centrodestra forte dei suoi 19 consiglieri (e spinto dall’animosa baldanza del risultato elettorale nazionale) che ha impallinato l’anatra zoppa senza nemmeno una riflessione.
E da qui una serie di considerazioni sulla inopportunità dei consiglieri comunali che nell’assise detengono la maggioranza di far cadere il sindaco, definiti irresponsabili per la fine immediata della nuova consiliatura.
Forse Damiano Coletta, che vince pur perdendo, per una questione di dignità politica avrebbe potuto/dovuto rassegnare le dimissioni prima di essere sfiduciato, ma come ha insegnato nei decenni la Democrazia Cristiana la parola dimissioni dal vocabolario risulta inesistente. Forse lo avrebbe potuto/dovuto fare, perché essere scelti per più volte da un elettorato marcatamente di centrodestra pur non essendo amato e perché quell’elettorato non tollerava il sostegno diretto a una determinata candidatura della propria coalizione non dovrebbe arrecare piacere. Essere scelti perché non c’è un’alternativa non è il top della vita, è come se una donna ti sceglie perché l’uomo che ama le ha voltato le spalle e quindi lei ripiega su di te, dichiarando apertamente che se ci fosse un altro uomo appena più intrigante e seducente di te, be’, non ci penserebbe su un attimo, ti molla e se ne va con lui. Passatemi l’esempio, che proprio lontano dalla realtà non è. E l’ultimo appello del sindaco Coletta a elemosinare una collaborazione non è una pagina brillante della storia politica cittadina, anche perchè il primo cittadino era consapevole dell’impossibilità di costruire ancora un’assise in cui chi dà le carte è rappresentato da due mazzieri. Grottesco gestire le cose in questo modo. Coletta e chi lo aveva sostenuto, sedotto dalle sue idee, ci avevano provato mesi prima, senza risultati. Perché oggi una parte del centrodestra avrebbe dovuto/potuto sostenerlo di nuovo? Soprattutto, poi, alla luce del radioso risultato elettorale del 25 settembre? Sembra che le mancate dimissioni del sindaco siano alla fine più una presa di mera opportunità piuttosto che di curiosa responsabilità: della serie, non è colpa nostra se non siamo più lì ad amministrare (?!) ma altri, quelli che detengono la maggioranza, a decidere. Eh, direbbe qualcuno, è la democrazia.
Si leggono in questi momenti commenti sui social dello sport (alias bar dello sport) in cui la responsabilità è tutta piegata verso il centrodestra, reo della sfiducia (strumento legale e consentito dal Tuel), mentre qualcun altro lancia j’accuse sulle mancate ipotetiche dimissioni in blocco della minoranza che invece governava, perché ‘incapace’ per più anni di amministrare la città.
Certo, oggi è triste osservare Latina, passeggiare per le sue larghe e desolate vie, fissare la vuota monumentalità della sua architettura. Dalla provincia dai ritmi lenti e compassati i cervelli fuggono, è fisiologico che avvenga questo processo, ci si deve allarmare invece quando sono le sensibilità ad abbandonare la dimensione provinciale, perché poi restano soltanto quei 40/50/60enni che hanno un determinato cordone ombelicale col territorio, o per motivi occupazionali, professionali o strettamente affettivi. Chi resterà dopo di loro? Chi? Poi, diventerà difficile non affermare che Latina è una città che ha il futuro dietro le spalle.
C’è una soluzione? Certo. Non essere una comunità divisa, essere per davvero una comunità inclusiva e coesa. Che banalità, eh? Ma la teoria, si sa, è perfezionista solo nei termini. Ci difetta, a noi latinensi, da 90 anni tondi tondi, la pratica. Forse perché animati da uno straordinario e spiccato senso dell’individualismo a discapito di quella volontà di ‘fare squadra’ sempre urlato e mai seguito. Chissà. E poi siamo sempre autoindulgenti e mai obiettivamente critici verso noi stessi, sono sempre ‘gli altri o ‘quelli dell’altra parte’ a sbagliare nel dire e nel fare. Avanti così. O meglio, indietro tutta.
E poi un inciso. Non crediamo che i responsabili di questa situazione di stallo alla messicana più che di anatra zoppa nella città di Latina sia stata colpa di Coletta o dello sfidante Vincenzo Zaccheo, crediamo che vada ascritta direttamente all’elettorato di Latina, che al primo turno vota massicciamente pur non sfondando il muro dell’elezione diretta del sindaco un candidato (Zaccheo, nello specifico) per poi optare, con rimorsi di coscienza a scoppio ritardato, che nel ballottaggio per il bene della città è meglio votare lo sfidante in netto svantaggio (Coletta, ovviamente), generando in questo modo schizofrenico nell’esprimere il proprio voto un monstrum consiliare fino ad arrivare a un inevitabile corto circuito. Quello di oggi.