Si favoleggia che spesso regalava ai suoi ospiti ‘L’elogio della follia’ di Erasmo da Rotterdam. Non sapremo mai se era un suo vezzo o se quel libro lo avesse mai letto veramente. O compreso. Sta di fatto che un rivoluzionario dell’estetica come Silvio Berlusconi ha segnato, e rivoluzionato, col suo essere azzardato, visionario, pioniere, il mondo Italia. Dalla tv commerciale con quella pubblicità sparata e condivisa in tutt’Italia, in nome del consumismo sicuramente ma anche della libertà d’espressione, segnando la fine di un monopolio di Stato. È stato un rivoluzionario estetico, perché la bellezza di programmi come ‘Drive in’ facevano sognare i giovani ancor più di Carosello, azzardavano in nome del costume e della liceità, aiutandoli in uno scatto verso un futuro meno ingessato; il Milan degli Olandesi e di Sacchi (un autentico sconosciuto prima di sedere sulla panchina del Diavolo) ha fatto la storia dell’estetica del calcio, facendo innamorare di quel gioco anche chi non era tifoso rossonero; ha rivoluzionato il mondo della politica, o meglio della sua comunicazione, svecchiando modelli e omologazioni, reazioni e approcci, che resteranno nell’immaginario collettivo, come il duello tra un sorridente Cav e un Occhetto che sembrava appena uscito da una riunione del Politburo anni ’50; fu anche un rivoluzionario della bugia, tanto che riuscì a sedurre in una grottesca votazione 314 deputati che avallarono una gaudente come la nipote di un sovrano, quasi a rinverdire l’epopea da ‘Mille e una notte’, corroborata da un altro circo, quello di Gheddafi ospite a Roma, tra tende, cavalli e amazzoni. Sono istantanee, camei, frame, che ti assalgono così istintivamente nella galleria dei ricordi, senza ragionarci su, anche perché l’analisi meriterebbe riflessioni da riportare su tomi enciclopedici, perché comunque abbracciamo un periodo lunghissimo della nostra Italia, ormai eternizzato.
Quando muore una persona si tende a essere ecumenici, invece andrebbe fatto un lavoro di obiettività circolare, anche se condensato in nome della comunicazione contemporanea. E così tra questi fotogrammi ecco l’affaire del Mundialito di calcio, dicembre ’80, una farsesca competizione iridata nella sanguinosa dittatura uruguagia, dove i diritti televisivi della Nazionale italiana sbrecciarono l’esclusiva fino allora detenuta dalla Rai aprendo di fatto la diretta tv anche per le emittenti commerciali. Un’azione, ovviamente, azzardata, con la complicità di Licio Gelli e della P2 con parte del Parlamento italiano, dove il confine nel Cav tra imprenditore e speculatore fu labile. Un’autentica follia anche questa. Va a finire che quel libro di Erasmo da Rotterdam lo aveva letto per davvero.