C’è sicurezza nelle attività sportive e ricreative sul lungomare di Latina? Una domanda che ci poniamo poche volte, se non quando la disgrazia è vicina ad accadere. Questo è il racconto di una testimone oculare che si è attivata per salvare un kiter rimasto al largo.
Raccogliamo da una testimone oculare un episodio che mostra i limiti di un servizio che è farraginoso, che rasenta il grottesco e che poteva trasformarsi in tragedia. Lei è Antonella Desiree Pelusi, un’appassionata di kitesurf che spesso pratica questa disciplina nelle acque antistanti la spiaggia di Latina, che è stata testimone e attrice diretta di quello che racconterà.
“Mercoledì 11 agosto, alle ore 17, presso quella che viene definita Kitebeach di Latina: il vento cala all’improvviso e il Kiter Simone M. rimane in difficoltà a meno di 200 metri dalla riva. In kite beach non abbiamo un bagnino, né servizio di salvataggio, come invece accade nelle altre kitebeach dell’universo mondo. Corriamo per chiedere aiuto alla bagnina dell’hotel Fogliano, che è la più vicina, e ci sentiamo rispondere che loro non posso soccorrerlo perché si trova nel mare antistante la kitebeach e non l’hotel Fogliano e che li si può muovere solo se accade qualcosa qui e non in kitebeach; ancora, la bagnina dice che ci deve andare il bagnino del primo chiosco, ma lei non può avvertirlo perché non ha una radiolina per parlare con lui, né il suo numero di telefono, quindi invita noi ad andarci per chiedere soccorso. Sono già le 17.20, non riusciamo a vedere, dalla riva, se il kiter Simone sta bene, quindi corriamo a perdifiato verso il primo chiosco, dove troviamo il secondo bagnino. Interpellato ci risponde che, secondo lui, il kiter Simone M. a guardarlo così dalla riva, ad occhio nudo (nessuno dei bagnini ha impegnato un binocolo per osservare la situazione nel mare), sta bene e che sicuramente riuscirà a rialzare il kite. Gli facciamo notare che non c’è vento e questo evento è impossibile. A questo punto, disarmati, minacciamo di chiamare i carabinieri ed il bagnino si alza, ammettendo candidamente di non saper remare sul mezzo di salvataggio.
Il mio amico Gianluca si mette ai remi mentre il bagnino si siede sulla parte antistante del mezzo del salvataggio, facendosi portare, lasciando che la realtà superi la fantasia. Il tempo scorre e raggiungono Simone in acqua dopo ben 50 minuti dal primo allarme. Fortunatamente sta bene ma gli viene chiesto di tornare a nuoto con il surfino a rimorchio perché non c’è spazio per lui sul mezzo di salvataggio, sul quale il bagnino continua a rimanere seduto senza far nulla mentre Gianluca rema per tornare. Raggiungiamo Simone, finalmente arrivato sulla battigia, prima del bagnino e prima del mezzo di salvataggio. Finale: il bagnino ci ringrazia tutti perché, senza di noi, non avrebbe mai potuto effettuare l’atto di salvataggio.
La nostra domanda è: è necessario che qualcuno muoia per poter avere dei mezzi di salvataggio adeguati per un’area kite che si rispetti? Quanto è importante la sicurezza sulle nostre spiagge? Poteva accadere a un kiter ma a qualsiasi altro sportivo impegnato in qualsiasi attività ricreativa…”.
L’articolo mi sembra esagerato. Faccio kite da anni e il kiter dovrebbe essere in grado di fare una manovra che si chiama Self Rescue per tornare a riva.
Scrivere che si trovava a 200 mt e che ci ha messo 50 minuti per tornare sulla spiaggia mi sembra altresì esagerato. Poiché un nuotatore normale, considerando una piscina di 25mt coprirebbe con meno di 10 vasche ( 5andate e ritorno) il percorso in meno di 15 minuti. Il kiter deve essere dotato inoltre di un supporto al galleggiamento in modo da ottemperare alle ordinanze locali.
Grazie mille
grazie a te.
grazie delle delucidazioni e dell’intervento