Tra Francia e Argentina ha vinto la squadra più mediterranea. Entrambe, figli di latini, alla fine del match sembrava fossero invertiti i destini: gli argentii a piangere e i francesi senza sentimento.
Diciamo la verità. Non siete napoletani ma avete tifato Argentina. Almeno la metà degli argentini sono i nostri paisà d’oltreoceano, hanno sangue nostro nelle vene e quando vi aggirate per le quadras di Buenos Aires appena gli argentini percepiscono che siete italiani ci manca poco che vi invitino a casa per una fiesta su due piedi. Facile che contro la supponenza dei francesi nella finale della Coppa del Mondo abbiamo tifato Argentina. E quindi non solo Napoli per quel cordone ombelicale col D10S. Ah, les italiennes, diranno i nostri vicini di casa. Ma sì, ditelo pure, che dopo la finale di Berlino persa ai tiri di rigore con l’Italia avete mancato pure quest’altra coppa.
Al di là di un’altalena di emozioni che è raro vedere in una finale di così alto livello, abbiamo scoperto ieri a Doha che Dio tifa Argentina. Lo abbiamo scoperto dopo che si è tolto la maschera, aveva gli stessi colori pitturati sui capelli pieni di vertigini di Emiliano Martinez, il para-rigori, che oltre l’albiceleste aveva anche una macchia gialla a simboleggiare il Sol de Mayo.
C’è un aspetto che però non ci è sfuggito alla fine del match. Gli argentini avevano vinto una sfida al cardiopalma, mai mollata da Mbappè, al rigore decisivo di Montiel sono crollati sull’erba del campo esausti, sono crollati come marionette a cui hanno reciso all’improvviso i fili, come se gli fossero saltati i nervi e i muscoli fossero diventati vuoti. Stremati sul campo, a piangere, a emozionarsi, a stringersi come bambini. Lo stesso allenatore, Lionel Scaloni, che avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento un poco più distaccato, prima ha assunto l’aria dell’uomo che non deve chiedere mai, poi ha toccato il terreno e scaramanticamente s’è segnato con la croce (poi, ‘sta cosa un giorno me la dovrete spiegare, ‘sta simbologia che danza tra gesto apotropaico e religione, eh…) e quindi è scoppiato da solo in un pianto irrefrenabile che lo ha reso così umanamente bello. Un erore così vicino a noi. E Paredes? Quello che anche quando giochi a calcio balilla vorresti avere dalla tua parte? Piangeva. Per non parlare di De Paul o addirittura di quella simpatica canaglia di Emiliano Martinez, che leggenda vuole non abbia mai rivolto una carezza nemmeno ai bambini dell’orfanotrofio. Frignavano che era una bellezza, e ti sentivi empaticamente collegato a loro, perché sono nostri hermanos.
E poi dall’altra parte il volto degli sconfitti. Stavolta gli argentini non hanno irriso i loro avversari come accaduto contro l’Olanda dopo i tiri di rigore, ma, ripeto, la mancanza di reazione degli orange è perché chissà i tulipani quanto avessero la coscienza pulita. Ma torniamo ai galletti francesi. Osservate i loro volti. Sono terrei. Sembrano atleti computerizzati, sconfitti ma non con dignità, ma senza emozioni, non ho visto una lacrima, un sentimento, una smorfia di disappunto pronta a esplodere. La faccia di Mbappè è quella di un predestinato che sa che vita e destino sono ai suoi piedi, dove è lui a dettare le azioni di quello, difficile che Kylian ravvisi il libero arbitrio, come se fosse lui il re della casualità e della casualità, altro che il fato. E poi gli altri ragazzi di una Nazionale che non ha certo terminato il suo ardore: Tchouameni o Coman o Upamecano o anche Griezmann si muovono tesi per quella sconfitta ma non si respira cosa pensino, cosa sentano, cosa vogliano, come reagiscano. Molti sono figli di quelle terre legate a doppio filo con la madrepatria, quelle terre che sono colonie che appartengono alla grandeur di una Francia che simboleggia da sempre l’egalitè, fraternitè e libertè ma solo dentro i propri confini. E torna l’esempio del Marocco, dove oltre la metà dei componenti della Nazionale ha scelto di rinnegare la diaspora del destino e di riabbracciare la terra degli avi. Invece gli atletici francesi sono così apollinei, vitaminizzati, quasi robotici. Alla fine, sembrano così europeizzati. E nella sfida tra latini era inevitabile che vincesse la squadra più mediterranea, l’Argentina.