Qatar 22: i calciatori iraniani sfidano gli ayatollah e Infantino. La squadra dell’Iran contro l’Inghilterra non canta l’inno: sguardo fisso, mani sulle spalle, solidarietà al proprio popolo.
Niente fasce arcobaleno. Pena cartellino giallo da parte dell’arbitro direttamente su sollecitazione della Fifa. Perché l’Occidente non può scendere in campo con la fascia ‘One Love’, così l’Inghilterra deve rinunciare a una protesta civile nel match inaugurale contro l’Iran. Niente provocazioni a loro maestà gli sceicchi del Qatar, che non tollerano ‘devianze sessuali’ o ‘equilibri sociali’: la Fifa, del resto, ha ormai sposato da tempo i petrodollari dei qatarioti, altro che diritti civili per un mondo uguale e migliore. Così, seguendo l’antico adagio ‘non portare il pesce al povero ma insegnagli a pescarlo’, i giocatori dell’Iran non aspettano la solidarietà fatta strozzare da Infantino e sodali all’Occidente ma ci pensano da sé: al momento dell’inno nazionale contro l’Inghilterra non cantano le strofe coniate da Hassan Riyahi, se ne stanno in silenzio, gli occhi fissi e sbarrati, concentrati, le mani sulle spalle dei compagni.
Un messaggio chiaro, inequivocabile. Lo sport, il calcio nella fattispecie, fa riecheggiare la sua voce tramite il silenzio dei giocatori iraniani, solidali nei confronti del proprio popolo (soprattutto delle donne) che da giorni, settimane, mesi protesta contro il regime degli ayatollah che calpesta chiunque tenti ‘di sovvertire l’ordine costituito’ tramite l’azione di una odiosa ‘polizia morale’ che odora tanto di distopico. La solidarietà dei calciatori iraniani non è nei confronti del mondo Lgbt, così odiato e contrastato dal Qatar, ma è una protesta contro il proprio Stato oppressore. Una lezione di fiera dignità, che fissa dritto negli occhi in silenzio gli aguzzini dell’Iran. E Infantino e i suoi sodali.