È piena estate, sono terminati i campionati di calcio ma mai ti saresti aspettato la cronaca minuto per minuto di una giornata di guerra. Grazie alle agenzie di stampa, ma soprattutto alle fonti estremamente dirette, ecco che nella convulsa giornata di ieri abbiamo assistito a un’incredibile escalation che ha visto protagonista Yevgeny Prigozhin, lo chef di Putin, che a capo della sua creatura di mercenari Wagner ha osato sfidare lo zar e i vertici militari del Cremlino. E abbiamo seguito in diretta questo tentativo di golpe, altro che l’elogio dell’attesa ai tempi di WhatsApp, eravamo incollati come fosse una partita di calcio a leggere su accreditate estate web il susseguirsi delle concitate azioni che avevano un traguardo finale, rappresentato da Mosca. E così abbiamo assistito sin dalle prime luci dell’alba di sabato alle continue invettive del capo della Wagner che si scagliava non sugli ucraini ma sui russi, minacciava di marciare sulla capitale in nome della libertà, altro che traditori del popolo come urlava Putin, che prometteva pene capitali e che giammai si sarebbe ripetuta la Storia incarnata dalla rivoluzione d’ottobre. E intanto? Chi stava attorno all’arena? L’Ucraina ne approfittava subito, se i miliziani della Wagner abbandonavano le posizioni al confine ecco che l’esercito di Zelensky occupava quegli spazi vuoti spingendosi fin dove la Russia aveva allungato mano e corpo dal 2014, intanto l’Occidente si interrogava su quanto stava accadendo in Russia mentre la Lettonia chiudeva la possibilità di accettare visti dai benestanti russi che immaginavano scenari da guerra civile. In meno di un amen tutti i biglietti dei voli da Mosca diretti tra Turchia e Germania andavano esauriti, ma nel frattempo i mercenari di Prigozhin procedevano come un Risiko reale conquistando la strategica Rostov. Il leader ucraino si sedeva sul salotto buono di casa e cominciava come le sue serie tv a sgranocchiare i popcorn per assistere alla marcia della Wagner verso Mosca. Altro che pagina Facebook bloccata dal Cremlino, i mercenari procedevano spediti, Telegram o meno, con il sindaco moscovita che sfornava ordinanze precauzionali smesse dai tempi del Covid. E poi a Liptesk ecco le trincee scavate sull’autostrada dai fedelissimi di Putin per rallentare la marcia musicale del gruppo Wagner mentre Mosca si preparava al peggio, tra tank e trincee con sacchi di sabbia. E saliva la temperatura per un colpo di stato che ormai appariva imminente, con le consultazioni che divenivano febbrili, con il presidente turco Erdogan in prima linea seguito da quello bielorusso Lukashenko, storici alleati di Putin, per offrire il loro supporto diplomatico nel risolvere la questione. E a 200 km da Mosca, Prigozhin sceglie di non spargere sangue russo e di accettare i salvacondotti bielorussi, ma intanto dimostra quanto è molle il ventre della Santa Madre Russia e quanto è debole Putin. Minuto per minuto.