A 100 anni dalla nascita rileggiamo l’opera di Leonardo Sciascia, uno dei più grandi intellettuali italiani, inquieto e critico, primo a scrivere di mafia e precursore del noir mediterraneo.
C’è un autore che quando lo leggi, oltre a estrarre pepite dalla cava della sua produzione, ti insegna a pensare con la propria testa e col proprio cuore. Cent’anni fa, proprio l’8 gennaio, nasceva a Racalmuto, in provincia di Agrigento, chi ha scritto pagine nuove sul giallo e noir italiani: Leonardo Sciascia. Quando in ambienti letterari si cita che Umberto Eco abbia sdoganato il genere in Italia facendolo assurgere a livelli oltre la paraletteratura in cui sinora era stato relegato si dimentica chi ha battuto strade esplorative e sentieri nuovi.
Indimenticabile resta il romanzo ‘Il giorno della civetta’, quel romanzo che nel 1961 affronta per la prima volta il tema della mafia e che a mio modesto avviso resta il capostipite del noir mediterraneo. E lo diciamo seriamente. Sembra un paradosso ma proprio grazie a un romanzo e non a un articolo giornalistico. Certo, si evitano querele, grande bavaglio per chi fa informazione, ma l’autore possiede una manovra d’azione e di riflessione maggiore attraverso l’espediente della fiction, seppure resta l’interrogativo quanto è frustrante per un cronista usare il romanzo noir come strumento per raccontare una (potenziale) verità criminale. Infatti, resta ancora da comprendere se la capacità di denuncia di uno scrittore che scrive di noir è una vittoria dell’arte dello scrivere o una sconfitta invece per il giornalismo.
Tornando a ‘Il giorno della civetta’ i protagonisti Don Mariano e il capitano Bellodi restano nell’immaginario collettivo non solo letterario l’eterno conflitto tra Bene e Male. Elementi che ti fanno sobbalzare dalla sedia, perché il messaggio di Sciascia nella società italiana fu dirompente, poiché sino ad allora la letteratura aveva fornito della mafia una rappresentazione apologetica mentre le istituzioni pubbliche e private ne negavano persino l’esistenza. Così Sciascia consegnò all’Italia una storia acclarata, certa, un fenomeno da studiare come reale e non come frutto di un’architettura narrativa.
Sciascia insegna molto agli autori, non solo a quelli che amano i gialli o i noir, che resta il colore e il genere della denuncia sociale. Quando personalmente scrivo i miei romanzi tengo presente diversi elementi, ma non è detto che vadano bene per tutti, però sono i miei e vanno bene per me, per come sento io la scrittura, per come è la mia sensibilità, per come avverto io la mission dello scrittore.
E tengo presente un assioma fondamentale, che dovrebbe essere il mantra di ognuno di noi. Lo scrittore teatrale Bertolt Brecht diceva ‘chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi la conosce e la chiama bugia è un delinquente’: credo che qui la lezione di Sciascia sia esemplificativa continuandone a battere la strada.
Così, siamo tutti chiamati a quel processo di rappresentare la verità per migliorare il nostro microcosmo, e quindi migliorando ognuno di noi la nostra piccola porzione di mondo, possiamo migliorare il mondo, senza abbracciare utopie. Utile, vero e interessante, diceva il papà del romanzo italiano, Alessandro Manzoni: elementi imprescindibili da cui non si può non partire.
Ancora, un altro elemento: la denuncia e la critica sociale. Lo scrittore ha l’obbligo di responsabilizzare il lettore, portandolo a una presa di coscienza in modo che domani nessuno possa dire ‘io non sapevo’, prendere per mano il lettore e portarlo verso la ricerca ontologica, sia dei grandi temi universali che quelli piccoli, che risolvono le criticità dei microcosmi.
Il noir mediterraneo non è un genere ma uno stile letterario. Plasmato da una percezione, da un senso d’appartenenza, per intenderla alla Massimo Carlotto. Ha in sé il senso dell’inquietudine del noir, ma ha l’anima della mediterraneità, che non è circoscritta in un luogo ma –soprattutto nel tempo della globalizzazione- rimbalza in ogni luogo che la evoca: il cambio di angolazione del crimine, vittime e carnefici che si scambiano di ruolo, gli innocenti che non esistono, i cavalieri bianchi che sono macchiati di nero, il sesso passionale, e poi il vento, il mare, il sole, gli odori della cucina, come insegna Manolo Montalbàn. Aglio, menta e basilico cantava l’aedo Jean Claude Izzo, ma consentitemelo c’è da aggiungere olio (d’oliva, naturalmente, con il burro è vietato cucinare).
Dopo ‘Il giorno della civetta’ ecco ‘A ciascuno il suo’, altro noir che prende spunto dalla irrequieta Sicilia provinciale, partendo sempre da fatti di cronaca nera, descrivendo una porzione di un Mediterraneo flagellato da eterne lotte e contrasti mai risolti. E in questa linea ecco ancora ‘Todo modo’, che offre una chiave di lettura differente sul mondo della politica italiana, senza dimenticare il tema dell’impunità e dell’arroganza del potere nei brevi ‘Una storia semplice’ e ‘Il cavaliere e la morte’.
Sì, i libri di Sciascia vanno letti e riletti. Soprattutto per conoscere l’uomo e l’autore, non soltanto i protagonisti delle sue storie. Un uomo che ha vissuto, nella sua inquietudine di vita e di lavoro, diverse stagioni, soffrendo anche molto, come quando prende le distanze dalla sinistra o comunque da una certa sinistra, rivendicando un pensiero e un’azione più libera, scevra da condizionamenti di partito (e, quindi, di parte…), ecco che il mondo della cultura gli volta le spalle. I premi diventano un ricordo e l’isolamento umano una conseguenza inevitabile. Per chi vive di cultura, di filosofia, di confronti, di dibattiti e di socialità la sofferenza diventa dramma. Ma resta intatto il proprio mondo interiore, resta sano l’involucro che preserva quella originalità che è alla fine in ognuno di noi, così Sciascia si concentra su quello che non può tradirlo, che accetta critiche e anima riflessioni feroci e contrastanti: scrivere. Saranno i posteri a nutrirsi delle sue inquietudini e poi, probabilmente, a tracciarne un solco.