Dio tifa Argentina. L’Albiceleste vince ai rigori contro la Francia una sfida incredibile dopo il 3-3 dei tempi supplementari. Sfida nella sfida tra Messi e Mbappè.
Dio tifa Argentina. Dopo una finale di Coppa del Mondo così emozionante prima ringraziamo Dio di aver inventato il calcio e poi, dato l’esito finale, non abbiamo dubbi. Certo, in un romanzo era stata profetizzata la scelta del tifo da parte della divinità (‘Il profumo dell’ultimo tango’, ehm…) ma deve essere stato ubriaco per aver scritto questa sceneggiatura. È la sfida dei numeri 10, così è stata descritta. E il copione è rispettato nella previsione ma mai ci saremmo immaginati un’altalena di emozioni, reti, parate così. E i rigori finali, poi. Che colpo d’occhio agli inni. Urlano quei bambini vestiti da uomini, con quelle casacche a rappresentare popoli e Paesi, cantano coi cuori che palpitano. Vamos. Allons. No, marchons. Gli argentini hanno sentimento ma la Marseillaise resta forse lo spartito più emozionante.
Si parte e non c’è strategia, c’è voglia di mettere le mani sulla coppa. Si va a 3 per entrambe: la Francia ha l’occasione storica di farlo dopo 4 anni, l’Argentina sente che è l’ultima chiamata per l’erede di D10S, Messi, che oggi sfida il compagno di squadra del Psg, Mbappè. Da una parte la garra di eroi sgraziati e tatuati come galeotti, la fame di conquistare l’Olimpo, l’irriverenza latinoamericana che chiama e sfiora la rissa, dall’altra la classe, l’eleganza, la forza muscolare di atleti potenti, vitaminizzati e ormai europeizzati. Due scuole contro. Due filosofie contro. Due mondi contro. Sono latine entrambe le squadre, ma in una c’è la fusion di etnie e caratteri tra Mediterraneo e il realismo magico dell’America del Sud, nell’altra si oscilla tra la grandeur e il fil noir coloniale.
Il primo squillo è dell’imbucato alla festa, quello che è stato un convitato di pietra per buona parte del Mondiale, una sorta di Godot dal fisico segaligno e dalla tempra di tanguero, con quelle movenze che sembrano dettare tempi e ritmi in un fazzoletto di campo: Di Maria la spara fuori al 16’ dopo un innesco di Messi, poi al 21’ l’Angel si procura un rigore con la complicità di un ingenuo Dembélé. Infatti, Di Maria lo sfida, lo scherza sgommando via, poi frena, sembra quasi aspettarlo e quello come uno scolaretto al primo giorno di scuola gli incrocia le gambe. All’arbitro non pare vero nemmeno di andare a consultare il Var tanto è netto il rigore, certificato anche dai rimbrotti non proprio pacifici che Giroud e Griezmann rivolgono al compagno di squadra. Messi va sul dischetto col passo del predestinato. Palla da una parte e Lloris dall’altra. 1-0 e montagna albiceleste che seppellisce la Pulce. La Francia non capisce cosa sia accaduto, ma glielo ricorda il fraseggio di scuola sudamericana e tattica mediterranea: proprio quando Scaloni ulula dalla panca che la squadra deve alzare il campo ecco che sull’out destro parte un contropiede letale, Molina recupera, Alvarez ricama, Messi smista, MacAllister suggerisce e Alvarez telefona a Di Maria che incrocia purgando Lloris. È il 35’: è 2-0. E la Francia capisce che il bis dopo 4 anni non è possibile nemmeno se scende in campo Obelix. Ed è show anche nel secondo tempo: domina l’Argentina, con la Francia che rischia il tracollo, e sempre su inviti, smistamenti, girate di Di Maria, autentico folle cursore sulla fascia mancina, che in 10’ offre su vassoi mondiali pallegol a MacAllister, Alvarez e Messi. Poi, quando i 40 milioni stretti idealmente tutti a B.A. stanno per decidere in che modo festeggiare la tercera, al 78’ Otamendi si lascia sgusciare Kolo Muani e quando lo lascia entrare in area lo affossa. Rigore netto, Mbappé ringrazia fulminando Martinez. Partita riaperta? Non fai nemmeno in tempo a domandartelo che Coman ruba palla a Messi come se fosse un bambino smarrito innescando l’azione che porta alla volèe vincente di Mbappè. È l’81’. Siamo 2-2. I galletti gonfiano il petto, sono stati irrisi, incartati, avviliti per 80’ e ora in 120” fanno capire che il ribaltamento sta per essere servito. È gioia, ma non per tutti, con Theo Hernandez che spinge via Dembélé, non ritenendolo degno di abbracciare Mbappè e partecipare all’abbraccio collettivo. Bah. E in pieno recupero Martinez, che sulle ciocche si è dipinto il Sol de Mayo, salva la patria calcistica su una rasoiata di Rabiot mentre all’ultimo respiro Lloris vola su una botta di Messi. Che splendore il calcio, signori. Ci vogliono i supplementari per decidere chi vincerà la coppa a Doha. Il presidente francese Macron si sveste e torna bambino, al diavolo il protocollo e l’etichetta, si toglie la giacca e resta in maniche di camicia, sembra un colletto bianco trasformato in ultrà. Che bellezza il calcio, quanto accorcia le distanze di comunicazione sentimentale tra la gente, azzerando le classi sociali. Che meraviglia. Ancora mezzora e più di grande calcio. È lì che Scaloni capisce che nessuno gli impedisce di operare i cambi e manda forze fresche tenute colpevolmente in naftalina per i 90’ regolari: e Lautaro Martinez è la sua arma segreta, con l’interista che sciupa un paio di clamorose pallegol nel primo tempo, poi però è lui che innesca il sorpasso di Messi al 108’ del secondo tempo supplementare. Merita l’Argentina, mette alle corde la Francia, che nell’overtime non è riuscito mai a impensierire il portiere Martinez. E quando a B.A. sono pronti a stappare le più costoese bottiglie di Mendoza ecco che Mbappé scaglia una botta delle sue, respinge Montiel ma con un braccio. Anche stavolta è rigore e nessuno protesta. È il 115’. Incredibile. Il tempo è scaduto e c’è un rigore. In una gara di Coppa del Mondo. Nemmeno Osvaldo Soriano si sarebbe immaginato un finale del genere. Ma è la vita, muchachos, è ancora più imprevedibile della trama di un romanzo. Mbappé non si fa pregare, ha bevuto la pozione di Obelix e beffa ancora Martinez, segnando una tripletta in una finale mondiale. Cose mai viste. Macron è stremato. Ma tutti i tifosi lo sono. Non solo argentini e francesi. Rigori? Macché. Lautaro Martinez e Kolo Muani si divorano due reti a testa, ma in una è strepitoso Emiliano Martinez. Poi ancora Mbappè semina il panico in area. Che finale! Poi il polacco Marciniak dice basta, stavolta si va ai rigori, anche se sarebbe più giusta una coppa a ex aequo.
Si comincia la lotteria e sono proprio loro i numeri 10 a sfidarsi. E figurati se non timbrano. Poi, come contro l’Olanda, sale sull’altare delle divinità lui, Emiliano Martinez, forse il figlio di quell’El Gato della storia ‘Il rigore più lungo del mondo’: prima para su Coman poi distrae Tchouameni coi suoi balletti. Montiel va sul dischetto e si fa perdonare il gomito galeotto. Segna e si toglie la maglia al rallenty come se stesse giocando al torneo dei bar. Ora la Francia non può più raggiungere l’Argentina. Ha esaurito i bonus. Dio alla fine si toglie la maschera e ti accorgi che è pitturata come i capelli di Emiliano Martinez, con il bianco e il celeste baciati dal Sole di Maggio.