Da Luigi Incoronato al magistrato Marzia Sabella: a che serve scrivere? Lo facciamo per noi o per gli altri?
Leggere è evasione, libertà, confronto. Ancor prima lo è scrivere. Un intellettuale si è domandato ‘alla fine lo scrittore serve?’. Un quesito che mi sono chiesto non perché tradizionalmente in Italia si legge poco ma perché passando per il paesino di Ururi (Campobasso) ho visto una piazza intitolata all’intellettuale Luigi Incoronato, morto suicida qualche giorno prima della pubblicazione del suo racconto ’A che serve uno scrittore’. E quella morte, e quella vita, vissuta in nome dello studio, della letteratura, della guerra (prima Luigi fu impegnato sul fronte francese poi quello greco-albanese infine divenne partigiano a Campobasso), si pone una domanda che non presuppone una risposta banale.
Tralasciando, ma pur sempre attuale, la lezione di Gramsci sul ruolo sociale dello scrittore, che non deve essere indifferente al mondo e indifferenza non dovrebbe suscitare, si scrive per liberare il proprio senso d’inquietudine, per entrare in comunione spirituale con gli altri, per creare mondi nei quali evadere, per essere liberi di esprimersi contagiando gli altri di quella nostra libertà. Per questo mentre guardavo Ururi ripensavo alla vicenda del magistrato Marzia Sabella, procuratrice aggiunta a Palermo, a cui il Csm ha impedito di presentare nelle scuole il suo romanzo, ‘Lo sputo’ (Sellerio), poiché il testo è lontano dall’attività formativa o scientifica in ambito giuridico. Certo, ho pensato, appartiene a quelle regole che si concede una corporazione così peculiare come quella giudiziaria, però ho ripensato anche alla paura che incute un libro, soprattutto un romanzo. Ci sono Stati che aiutano il cervello ad atrofizzarsi con balli e calcio, per chi ha palato più fine niente paura: teatro, concerti, danza, cinema, pittura e scultura. Ma non la lettura. E sì, i libri sono fatica, ma aiutano ad alimentare la parte costruens, non contemplano passività nello spettatore, costringono il cervello a riconoscere e interpretare la linea di informazioni da convertire in suoni, odori, colori e immagini. E sì, leggere (un romanzo) è evasione, libertà, confronto.