Il torneo fu vinto dagli argentini padroni di casa in un clima di intimidazione, nazionalismo sfrenato e repressione violenta da parte della junta militar.
In pieno inverno, il 1° giugno 1978 cominciò l’undicesima edizione del Campionato del mondo di calcio in Argentina. La partita inaugurale fu tra i campioni in carica della Germania Ovest e la Polonia allo stadio Monumental di Buenos Aires, terminata 0-0.
Il torneo venne vinto dai padroni di casa dell’Argentina che superarono per 3-1 i Paesi Bassi dopo una partita terminata ai tempi supplementari. Fu un torneo controverso, arricchito da polemiche mai finite, soprattutto per il clima intimidatorio e nazionalistico in cui si svolsero, dato il sospetto che quell’edizione fu creata ad arte per compiacere una delle dittature più feroci del Novecento, la junta militar guidata dal generale Jorge Videla. La giunta, al potere dal marzo 1976, diresse direttamente l’organizzazione della manifestazione, sfruttò propagandisticamente il torneo per rafforzare la propria autorità e per dare una dimostrazione di efficienza al mondo intero, soprattutto dopo le grida di scandalo levate dalle associazioni umanitarie.
Era un’occasione per rifarsi il look agli occhi del mondo, così mentre dispiegava una notevole e rassicurante efficienza organizzativa, il regime militare non interruppe il suo terroristico programma di repressione verso ogni forma di dissidenza. Si scoprirà che continuarono con crudeltà le uccisioni e i sequestri nelle sezioni clandestine di detenzione, come nella Esma, diretta dalla Marina militare, dislocato a poca distanza dallo stadio Monumental di Buenos Aires. In verità, in Europa ci furono associazioni e manifesti sottoscritti da intellettuali e uomini comuni per boicottare il Mondiale argentino, ma alla fine il torneo si svolse regolarmente e si concluse come ci si immaginava, con la vittoria dell’Albiceleste. Falsi miti come l’assenza di Johann Crujff che protestava perché i diritti umani in quel Paese venivano calpestati si scoprirà che avevano origine dalla paura da parte dell’asso olandese di essere sequestrato a scopo d’estorsione. Come falso fu il giro attorno all’Obelisco di plaza de Mayo da parte del portiere svedese Ronnie Carl Hellström, mentre autentica fu la rinuncia di Paul Breitner a partecipare alla spedizione della sua Germania perché di convinte idee maoiste.
Fu comunque un momento in cui gli occhi del mondo conobbero non soltanto l’efficiente macchina organizzativa argentina, ma anche le Madres e le Abuelas de plaza de Mayo che ogni giovedì in senso antiorario circumnavigavano l’Obelisco di fronte alla Casa Rosada, il palazzo presidenziale, per chiedere alla junta il destino dei loro figli, spariti nel nulla, dissolti attraverso quell’operazione inumana della desaparecion, che portava alla tragedia dei voli della morte. Non solo tango, quindi, in Argentina, ma anche una tragedia farsesca che vedeva coinvolta in prima persona la Fifa e tutta la carovana colorata dei Mondiali di calcio: una splendida competizione di pace tra i popoli trasformata in una kermesse per compiacere dittature e poteri economici. Il faccendiere massone Licio Gelli e il segretario di Stato americano Henry Kissinger erano abitualmente seduti accanto ai componenti della junta militar quando l’Argentina giocava le sue partite, vinte per la straordinaria passione del suo popolo ma anche grazie alla vergognosa complicità della Fifa di Jorge Havelange, che spostò l’orario del match decisivo dei padroni di casa contro il Perù, sapendo così in anticipo quanti gol in più avrebbero dovuto segnare per superare nella classifica della differenza reti i rivali del Brasile per accedere alla finale. Su quel match incombono forti sospetti di una clamorosa pastetta, tanto che finendo 6-0 è passata alla storia come la marmelada peruana.
La finale si svolse in un clima incandescente e fu una gara tiratissima, con gli argentini che superarono i Paesi Bassi ai supplementari grazie a una doppietta di Kempes, grande finalizzatore in quel torneo, vincendo per 3-1. E l’Italia? La nazionale azzurra fu una delle rivelazioni del torneo, fu lì che il cittì Enzo Bearzot costruì le basi per il successo dell’undici che trionfò in Spagna al mondiale successivo. Gli azzurri erano un mix di giocatori di belle speranze (Rossi, Antognoni, Tardelli, Cabrini) e veterani (Bellugi, Bonetti, Zaccarelli, Zoff, Bettega), che superarono a punteggio pieno la prima fase (battendo anche i padroni di casa per 1-0), poi nel girone che permetteva l’accesso diretto alla finale s’arresero alla rimonta dei Paesi Bassi, che con due tiri da distanza siderale beffarono Zoff. Gli azzurri chiusero il torneo al terzo posto, battuti per 2-1 anche dal Brasile, che s’era visto negare in modo fraudolento l’ingresso in finale.