Ieri Usa-Iran oggi Francia-Tunisia: quando i calciatori sono gli strumenti delle Nazioni per vincere controversie.
Le controversie degli Stati risolti in un rettangolo di gioco. Quando si gioca un torneo concentrato come quello dei Mondiali è sempre così. È sempre stato così. Oggi, è più amplificato, c’è il web, ci sono i social network. E poi c‘è sempre chi alza la tensione, chi la smorza, come se fosse un match di campionato, o meglio un derby. Ieri s’è giocata Usa-Iran, con la federazione a stelle e strisce che aveva caricato l’ambiente pubblicando sul suo profilo ufficiale la bandiera iraniana senza lo stemma dello stato islamico, un’autentica provocazione, non raccolta dai giocatori in campo. E già, i giocatori in campo. Grande corsa ma zero scontri, zero isterismi, zero risse. Come, del resto, era accaduto nel Mondiale di Francia 98: all’epoca gli iraniani, che si erano presentati in campo con un garofano bianco, vinsero 2-1, ma in palio non c’era nulla. A Doha, all’inno gli iraniani hanno sussurrato qualche strofa, diktat evidentemente lanciato da Teheran con tanto di minacce, ma in campo ha vinto la correttezza, undici contro undici con la palla da contendere. Punto. Sono passati i ragazzi statunitensi, vero mosaico della globalizzazione, un mix di razze, etnie, colori. Che meraviglia.
E a proposito di meraviglia multietnica. Oggi, altro match ad alta tensione per la Storia degli Stati. Va di scena Francia-Tunisia: per la prima volta le due nazioni si affrontano a un Mondiale. Ma non c’è quell’antagonismo, quella rivalità, quella tensione, quell’odio, se volete, che può immaginare chi è appassionato di diplomazie. Ecco, c’è diplomazia. La Tunisia si è resa indipendente dalla Francia nel 1956, col percorso di autonomia meno traumatico e violento rispetto all’Algeria raccontata da Gillo Pontecorvo. E poi i rapporti tra i due Paesi sono buoni. Talmente buoni che in rosa ci sono ben 10 giocatori della squadra tunisina che sono nati in Francia, essendo immigrati di seconda generazione. Senza contare i francesi di chiarissima origine africana che giocano per la bella Marianne e che raccontano la grandeur di questa squadra. Che bella la multietnicità. E che bella la diplomazia dei giocatori sui campi da calcio che pensano solo a giocare a calcio.