Arrivata la seconda stagione di Squid Game, ispirato al gioco del calamaro sudcoreano. Solita trama, con archetipi e stereotipi a divertire comunque lo spettatore, sempre che si prende il prodotto televisivo per quello che è.
Seconda stagione per il gioco del calamaro. È la celebrazione della rivincita di Gi-hun, il ludopatico giocatore n.456 vincitore del primo Squid Game? Ni. Nel senso che stavolta il disperato giocatore è diventato miliardario ma ha il vuoto attorno e dentro di sé, così ha il forte desiderio di entrare in contatto con gli organizzatori e porre fine al gioco al massacro di disperati senza futuro, distrutti moralmente dalla mole di debiti accumulati.
C’è poco da dire. La trama fa leva sempre sugli archetipi della narrazione, con diversi sentimenti messi in evidenza, tra cui quelli del riscatto. Il plot delle 7 puntate della seconda stagione fatica a decollare, poi però quando il gioco comincia allora il telespettatore può finalmente rilassarsi sul divano e godersi il gioco al massacro dei vari giocatori. E sì, perché stavolta qualche elemento di novità deve essere per forza innescato, così torna anche l’investigatore Jun-ho che si allea col protagonista e la sua masnada di delinquenti dal cuore d’oro per stanare il Front Man, mettendosi alla ricerca dell’isola che ospita il gioco tra i vari scogli antistanti la costa sudcoreana. Ma la recitazione è quella che è, diciamolo subito. Il prodotto, che è di intrattenimento autentico, con i suoi slanci moralistici al ribasso e assai banali, ricorda tanto i film di arti marziali di produzione orientale degli anni ’70 e ’80, con i personaggi con gli occhi a mandorla sbarrati di umano disorientamento, che sembrava chiedessero perché stessero non solo a recitare ma anche quale fosse il proprio ruolo nello spicchio di mondo in cui vagavano. Insomma, di anni (e pellicole) sono trascorsi ma passi da gigante non è che ce ne siano stati. E così i personaggi restano stereotipati: il cattivo è cattivo, il buono è buono, il tormentato è tormentato, non esistono sfumature, sono i tratti del viso e i toni delle parole a indicare a quale categoria umana appartengono i singoli giocatori. Un po’ Grande Fratello, un po’ THX 1138, la seconda stagione di Squid Game scorre veloce dalla terza puntata in poi, si avventura in votazioni democratiche sullo stile de Il signore delle mosche creando una suddivisione manichea del gruppo di giocatori. E ci sta, le influenze di produzioni artistiche distopiche dominano. E, quindi, è, da vedere? Ma sì, prendendo il prodotto per quello che è. Soprattutto se si ha la pazienza di aspettare la terza stagione, visto che il cliffhanger ci terrà sospesi fino alla primavera del 2025, in attesa di sapere che ne sarà della sfida del redento Gi-hun e del kattivissimo Front Man, in attesa dell’aiuto del poliziotto Jun-ho.
(Claudio Mascagni)